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L’Occidente
ha, in questi ultimi anni, dimostrato una certa apertura rispetto alla
pratica del tatuaggio, dimostrata non solo da una straordinaria diffusione
del tatuaggio, specie fra i giovani, ma anche dal numero crescente di
tatuatori, tattoo-convention, riviste specializzate e pubblicazioni
sull’argomento. Questa popolarità del tatuaggio è assolutamente estranea
al Giappone, benché il tatuaggio giapponese possa vantare, oltreché una
lunghissima tradizione, anche una tecnica raffinatissima ed un livello
artistico altrettanto straordinario.
Mentre l’Occidente prende a modello il tatuaggio giapponese e lo
rielabora secondo il proprio gusto, in Giappone continua ad esistere il
divieto di accesso ai portatori di tatuaggi che intendono frequentare
le saune, i bagni pubblici, alcune spiagge e quasi tutte le palestre.
I tatuati sono persino esclusi da alcune feste tradizionali.
Il divieto, in realtà, esprime la vitalità di un pregiudizio ormai secolare
ancora fortemente radicato, secondo il quale un uomo tatuato non può che
essere pericoloso. E’ vero che in Giappone tutti i criminali sono tatuati,
ma è altrettanto vero che i criminali rappresentano solo una minoranza
dei tatuati. In realtà, infatti, il tatuaggio è molto in uso anche presso
i sushi-makers, che ovviamente nulla hanno a che vedere con la
criminalità.
Irezumi (letteralmente “inserire
inchiostro”) e Horimono (parola composta da horu,
ossia “incidere” e mono, ossia “cosa, oggetto”) sono i due termini
giapponesi con cui oggi, indifferentemente, ci si riferisce al tatuaggio.
In passato, però essi avevano significati ben diversi: con irezumi
s’intendeva esclusivamente il marchio coercitivo distintivo dei criminali,
mentre horimono indicava il tatuaggio eseguito volontariamente
da uomini liberi.
Il tatuaggio punitivo sembra sia stato importato in Giappone dalla Cina,
dove rappresentava, insieme al taglio del naso, all'amputazione dei piedi,
alla castrazione ed alla morte, una delle “Cinque Punizioni”.
Il tatuaggio come segno di punizione umiliante, conosciuto come “l’occhio
di Azumi”, sembra sia nato da un decreto imperiale emanato dall’Imperatore
Richu contro Azumi, un leader popolare che sarebbe dovuto essere
punito con la morte per aver cospirato contro il potere imperiale. L’imperatore
gli risparmiò la vita ma lo punì con un tatuaggio speciale, situato vicino
all’occhio, da cui il nome “occhio di Azumi”. Probabilmente, il tatuaggio
indicava, originariamente, la condizione di schiavitù, cosicché il destino
di Azumi fu forse quello di passare alla condizione di schiavitù.
In Giappone pare che esistessero altri tatuaggi punitivi, con precisi
segni di distinzione del crimine commesso dal soggetto tatuato: larghe
linee nere venivano tatuate sul braccio o sulla fronte a coloro che erano
stati sorpresi a rubare, purché non fossero recidivi.
Intorno alla seconda metà del '600, a Tokyo (chiamata allora Edo) ai criminali
veniva tatuato sulla fronte un ideogramma (aku, ossia “malvagio”),
mentre in altre province, per esempio in quella di Chikuzen, sulla fronte
del condannato veniva tatuata una linea orizzontale alla prima condanna,
alla quale se ne sarebbero aggiunte altre qualora fosse stato recidivo.
Alla terza condanna, sulla fronte del criminale si sarebbe completato
l’ideogramma inu (che significa “cane”), composto appunto di tre
linee.
Verso la fine del ‘700, nella città di Edo gruppi di criminali iniziarono
a coprire con motivi decorativi i segni dell’infamia. Altri, invece, sfruttarono
il timore suscitato da questi tatuaggi punitivi per compiere atti di sopruso
e di intimidazione.
Poiché il tatuaggio coercitivo iniziava a produrre effetti esattamente
opposti a quelli sperati, nel 1870 fu emesso un decreto con il quale veniva
abolito.
L’Horimono, o tatuaggio volontario, nasce invece nel periodo Edo
(detto anche Tokugawa, dal nome della famiglia al potere), periodo
compreso fra il 1603 ed il 1867, caratterizzato da una potentissima corte
imperiale e da un lungo periodo di pace. In questo momento di sviluppo
economico Edo fu scelta come capitale del governo.
La società giapponese era, in quel periodo, divisa in quattro caste: la
classe aristocratica (samurai), la classe produttiva di beni alimentari
(agricoltori e paesani), la classe artigianale e quella mercantile (mercanti
e commercianti). Il proletariato non costituiva classe sociale. Il confucianesimo,
ostile all’attaccamento al denaro, aveva prodotto, nei confronti della
classe commerciale, una certa diffidenza, tanto che i mercanti venivano
considerati poco più che “parassiti”.
Nelle grandi città sorsero in quel periodo i cosiddetti “quartieri del
piacere”, ossia spazi entro i quali il controllo delle autorità diminuiva,
favorendo così, all’interno di un clima di rigidità totale come quello
del sistema tokugawa, lo sviluppo di isole di trasgressione. In
questo modo, la distanza fra la vita della città e quella dei “quartieri
del piacere” giunse ad un punto di esasperazione mai raggiunto prima.
La gente credeva ancora profondamente in valori come quello della lealtà,
dell’onestà e della devozione, e sentiva il bisogno di comunicare questa
positività. Fu tra queste persone che nacque l’irebokuro, ossia
l’uso di tatuarsi tra la base del pollice ed il polso. Sentimenti nobili
come l’amore, l’affetto, la fedeltà, ecc.. venivano espressi nel tatuaggio
praticato, al di fuori del controllo imperiale, nei “quartieri del piacere”.
Le prostitute stesse si tatuavano per esprimere amore e fedeltà ai loro
amanti, oppure ricorrevano a pratiche quali:
- l’amputazione di un dito o di una falange;
- l’estrazione di un’unghia;
- marchiature a fuoco sulla pelle procurate
con una pipa giapponese;
- la parziale o totale rasatura dei capelli.[72]
Verso
la fine del ‘700, il tatuaggio aveva già raggiunto livelli di alta qualità
e fra i motivi allora più in voga vi erano gli eroi picareschi appartenenti
alla tradizione popolare cinese dei Suikoden (“Sulle sponde dell’acqua”).
In un così lungo periodo di pace, inevitabilmente i samurai vennero
a trovarsi in difficoltà e dunque molti di loro, disoccupati, migrarono
nelle grandi città, dove pure affluivano avventurieri, artigiani, commercianti
e lavoratori, tutti in cerca di fortuna. Molti di loro si unirono in bande
criminali, utilizzando le loro abilità nelle arti marziali per aggredire
e derubare i cittadini, in difesa dei quali sorsero bande di “cavalieri
notturni erranti”, conosciuti come otokade. I difensori del popolo
si identificavano negli eroi combattenti dei Suikoden, per questo
iniziarono a tatuare sui loro corpi alcuni degli eroi da cui si sentivano
maggiormente rappresentati. Il tatuaggio, inoltre, li rendeva più temibili
agli occhi dei loro avversari. L’uso di tatuarsi divenne, nel periodo
Edo, pratica comune fra i rappresentanti della classe dei lavoratori,
che, lavorando a torso nudo, amavano esibire tatuaggi su spalle, schiena,
braccia e petto. Tatuati erano, oltre agli appartenenti alle classi sociali
più umili, anche i pompieri. Per loro il tatuaggio, oltre ad avere funzione
ornamentale, garantiva loro protezione rispetto ai rischi professionali
ai quali erano esposti. Il motivo tatuato sul corpo dei pompieri era,
per eccellenza, quello del drago, figura mitologica estremamente complessa
nella cultura giapponese, che rappresenta, fra l’altro, la convivenza
degli opposti: acqua e fuoco, potenza distruttrice e protettiva al tempo
stesso. Il tatuaggio di un drago assumeva la valenza di un amuleto protettivo
contro la negatività del drago stesso.
Un tatuaggio particolare venne adottato nelle regioni meridionali, dove,
fra i Man Han, divenne piuttosto comune l’uso di tatuarsi i polsi facendo
passare sotto la cute un filo intriso di inchiostro rosso. La linea che
ne risultava sarebbe stata il segno indelebile di una promessa importante
o di un voto.
Oltre ai normali tatuaggi, a cui la gente comune si sottopone, esistono
altre due tipi di tatuaggio, caratteristici della
cultura giapponese:
- il tatuaggio yakuza;
- il tatuaggio negativo o nascosto.
Per quanto concerne il primo, sembra che esistano tre motivazioni che
inducono gli affiliati alla mafia yakuza:
- 1) la sua simbologia
distintiva (appartenenza di tipo corporativo), motivo per cui gli appartenenti
ad una corporazione si ritengono facenti parte di un team, ma,
in quanto inseriti in una società chiusa, automaticamente esclusi
dal resto della società giapponese. Inoltre, sempre in virtù del suo
carattere distintivo, il tatuaggio yakuza rende impossibile la
defezione;
- 2) il suo essere una
prova di solidarietà;
- 3) il suo essere distintivo
di “mascolinità”.
A partire da queste premesse, potrebbe sembrare
che i tatuaggi adottati dagli yakuza facciano riferimento ad una
iconografia a loro legata, ma non è così. Tuttavia, nel vocabolario iconografico
del tatuaggio, gli yakuza manifestano delle preferenze. Spiccano
riferimenti tatuati al gioco d’azzardo hana-fuda, le cui carte sono
contraddistinte dal rosso e dal nero. Gli yakuza erano originariamente
(nel XVIII secolo) dei giocatori d’azzardo e questo legame col gioco sopravvive
a tutt’oggi.
I motivi ornamentali delle carte da gioco hana-fuda vengono spesso
riprodotti, in rosso e in nero, nel tatuaggio yakuza: fiori di ciliegio,
foglie rosse di acero ecc.
Altri soggetti preferiti dai gangster yakuza
sono Fudo, nume tutelare della criminalità, e Nio, il muscoloso guardiano.
Il tatuaggio negativo o nascosto è un tatuaggio
piuttosto raro, bianco, diffuso in Giappone soprattutto tra le donne, ottenuto
attraverso l’utilizzo di polvere di riso o di ossido di zinco, che rende
possibile la sua visibilità solo in determinate circostanze, per esempio
quando la persona tatuata è in uno stato di eccitazione: durante l’atto
sessuale, prendendo un bagno caldo o quando si bevono alcolici.
In questi casi, allora, il tatuaggio bianco affiora in rosso. I giapponesi
chiamano questo tatuaggio kakoushibori che, letteralmente, significa
‘tatuaggio nascosto’.”
Fercioni Gnecchi L., op. cit., p.73.
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