3.1 IL TATUAGGIO
     
3.1.1 IL TATUAGGIO NELLE SOCIETA’ TRADIZIONALI
3.1.2 Il TATUAGGIO POLINESIANO
3.1.3 Il TATUAGGIO GIAPPONESE
3.1.4 IL TATUAGGIO OCCIDENTALE
 

L’Occidente ha, in questi ultimi anni, dimostrato una certa apertura rispetto alla pratica del tatuaggio, dimostrata non solo da una straordinaria diffusione del tatuaggio, specie fra i giovani, ma anche dal numero crescente di tatuatori, tattoo-convention, riviste specializzate e pubblicazioni sull’argomento. Questa popolarità del tatuaggio è assolutamente estranea al Giappone, benché il tatuaggio giapponese possa vantare, oltreché una lunghissima tradizione, anche una tecnica raffinatissima ed un livello artistico altrettanto straordinario.
Mentre l’Occidente prende a modello il tatuaggio giapponese e lo rielabora secondo il proprio gusto, in Giappone continua ad esistere il divieto di accesso ai portatori di tatuaggi che intendono frequentare le saune, i bagni pubblici, alcune spiagge e quasi tutte le palestre. I tatuati sono persino esclusi da alcune feste tradizionali.
Il divieto, in realtà, esprime la vitalità di un pregiudizio ormai secolare ancora fortemente radicato, secondo il quale un uomo tatuato non può che essere pericoloso. E’ vero che in Giappone tutti i criminali sono tatuati, ma è altrettanto vero che i criminali rappresentano solo una minoranza dei tatuati. In realtà, infatti, il tatuaggio è molto in uso anche presso i sushi-makers, che ovviamente nulla hanno a che vedere con la criminalità.
Irezumi (letteralmente “inserire inchiostro”) e Horimono (parola composta da horu, ossia “incidere” e mono, ossia “cosa, oggetto”) sono i due termini giapponesi con cui oggi, indifferentemente, ci si riferisce al tatuaggio. In passato, però essi avevano significati ben diversi: con irezumi s’intendeva esclusivamente il marchio coercitivo distintivo dei criminali, mentre horimono indicava il tatuaggio eseguito volontariamente da uomini liberi.
Il tatuaggio punitivo sembra sia stato importato in Giappone dalla Cina, dove rappresentava, insieme al taglio del naso, all'amputazione dei piedi, alla castrazione ed alla morte, una delle “Cinque Punizioni”.
Il tatuaggio come segno di punizione umiliante, conosciuto come “l’occhio di Azumi”, sembra sia nato da un decreto imperiale emanato dall’Imperatore Richu contro Azumi, un leader popolare che sarebbe dovuto essere punito con la morte per aver cospirato contro il potere imperiale. L’imperatore gli risparmiò la vita ma lo punì con un tatuaggio speciale, situato vicino all’occhio, da cui il nome “occhio di Azumi”. Probabilmente, il tatuaggio indicava, originariamente, la condizione di schiavitù, cosicché il destino di Azumi fu forse quello di passare alla condizione di schiavitù.
In Giappone pare che esistessero altri tatuaggi punitivi, con precisi segni di distinzione del crimine commesso dal soggetto tatuato: larghe linee nere venivano tatuate sul braccio o sulla fronte a coloro che erano stati sorpresi a rubare, purché non fossero recidivi.
Intorno alla seconda metà del '600, a Tokyo (chiamata allora Edo) ai criminali veniva tatuato sulla fronte un ideogramma (aku, ossia “malvagio”), mentre in altre province, per esempio in quella di Chikuzen, sulla fronte del condannato veniva tatuata una linea orizzontale alla prima condanna, alla quale se ne sarebbero aggiunte altre qualora fosse stato recidivo. Alla terza condanna, sulla fronte del criminale si sarebbe completato l’ideogramma inu (che significa “cane”), composto appunto di tre linee.
Verso la fine del ‘700, nella città di Edo gruppi di criminali iniziarono a coprire con motivi decorativi i segni dell’infamia. Altri, invece, sfruttarono il timore suscitato da questi tatuaggi punitivi per compiere atti di sopruso e di intimidazione.
Poiché il tatuaggio coercitivo iniziava a produrre effetti esattamente opposti a quelli sperati, nel 1870 fu emesso un decreto con il quale veniva abolito.
L’Horimono, o tatuaggio volontario, nasce invece nel periodo Edo (detto anche Tokugawa, dal nome della famiglia al potere), periodo compreso fra il 1603 ed il 1867, caratterizzato da una potentissima corte imperiale e da un lungo periodo di pace. In questo momento di sviluppo economico Edo fu scelta come capitale del governo.
La società giapponese era, in quel periodo, divisa in quattro caste: la classe aristocratica (samurai), la classe produttiva di beni alimentari (agricoltori e paesani), la classe artigianale e quella mercantile (mercanti e commercianti). Il proletariato non costituiva classe sociale. Il confucianesimo, ostile all’attaccamento al denaro, aveva prodotto, nei confronti della classe commerciale, una certa diffidenza, tanto che i mercanti venivano considerati poco più che “parassiti”.
Nelle grandi città sorsero in quel periodo i cosiddetti “quartieri del piacere”, ossia spazi entro i quali il controllo delle autorità diminuiva, favorendo così, all’interno di un clima di rigidità totale come quello del sistema tokugawa, lo sviluppo di isole di trasgressione. In questo modo, la distanza fra la vita della città e quella dei “quartieri del piacere” giunse ad un punto di esasperazione mai raggiunto prima.
La gente credeva ancora profondamente in valori come quello della lealtà, dell’onestà e della devozione, e sentiva il bisogno di comunicare questa positività. Fu tra queste persone che nacque l’irebokuro, ossia l’uso di tatuarsi tra la base del pollice ed il polso. Sentimenti nobili come l’amore, l’affetto, la fedeltà, ecc.. venivano espressi nel tatuaggio praticato, al di fuori del controllo imperiale, nei “quartieri del piacere”.
Le prostitute stesse si tatuavano per esprimere amore e fedeltà ai loro amanti, oppure ricorrevano a pratiche quali:


     - l’amputazione di un dito o di una falange;

     - l’estrazione di un’unghia;

     - marchiature a fuoco sulla pelle procurate con una pipa giapponese;

     - la parziale o totale rasatura dei capelli.[72]

Verso la fine del ‘700, il tatuaggio aveva già raggiunto livelli di alta qualità e fra i motivi allora più in voga vi erano gli eroi picareschi appartenenti alla tradizione popolare cinese dei Suikoden (“Sulle sponde dell’acqua”).
In un così lungo periodo di pace, inevitabilmente i samurai vennero a trovarsi in difficoltà e dunque molti di loro, disoccupati, migrarono nelle grandi città, dove pure affluivano avventurieri, artigiani, commercianti e lavoratori, tutti in cerca di fortuna. Molti di loro si unirono in bande criminali, utilizzando le loro abilità nelle arti marziali per aggredire e derubare i cittadini, in difesa dei quali sorsero bande di “cavalieri notturni erranti”, conosciuti come otokade. I difensori del popolo si identificavano negli eroi combattenti dei Suikoden, per questo iniziarono a tatuare sui loro corpi alcuni degli eroi da cui si sentivano maggiormente rappresentati. Il tatuaggio, inoltre, li rendeva più temibili agli occhi dei loro avversari.  L’uso di tatuarsi divenne, nel periodo Edo, pratica comune fra i rappresentanti della classe dei lavoratori, che, lavorando a torso nudo, amavano esibire tatuaggi su spalle, schiena, braccia e petto. Tatuati erano, oltre agli appartenenti alle classi sociali più umili, anche i pompieri. Per loro il tatuaggio, oltre ad avere funzione ornamentale, garantiva loro protezione rispetto ai rischi professionali ai quali erano esposti. Il motivo tatuato sul corpo dei pompieri era, per eccellenza, quello del drago, figura mitologica estremamente complessa nella cultura giapponese, che rappresenta, fra l’altro, la convivenza degli opposti: acqua e fuoco, potenza distruttrice e protettiva al tempo stesso. Il tatuaggio di un drago assumeva la valenza di un amuleto protettivo contro la negatività del drago stesso.
Un tatuaggio particolare venne adottato nelle regioni meridionali, dove, fra i Man Han, divenne piuttosto comune l’uso di tatuarsi i polsi facendo passare sotto la cute un filo intriso di inchiostro rosso. La linea che ne risultava sarebbe stata il segno indelebile di una promessa importante o di un voto.
Oltre ai normali tatuaggi, a cui la gente comune si sottopone, esistono altre due tipi di tatuaggio, caratteristici della cultura giapponese:


     - il tatuaggio yakuza;

     - il tatuaggio negativo o nascosto.

Per quanto concerne il primo, sembra che esistano tre motivazioni che inducono gli affiliati alla mafia yakuza:

  • 1)    la sua simbologia distintiva (appartenenza di tipo corporativo), motivo per cui gli appartenenti ad una corporazione si ritengono facenti parte di un team, ma, in quanto inseriti in una società chiusa,  automaticamente esclusi dal resto della società giapponese. Inoltre, sempre in virtù del suo carattere distintivo, il tatuaggio yakuza rende impossibile la defezione;
  • 2)    il suo essere una prova di solidarietà;
  • 3)    il suo essere distintivo di “mascolinità”.
A partire da queste premesse, potrebbe sembrare che i tatuaggi adottati dagli yakuza facciano riferimento ad una iconografia a loro legata, ma non è così. Tuttavia, nel vocabolario iconografico del tatuaggio, gli yakuza manifestano delle preferenze. Spiccano riferimenti tatuati al gioco d’azzardo hana-fuda, le cui carte sono contraddistinte dal rosso e dal nero. Gli yakuza erano originariamente (nel XVIII secolo) dei giocatori d’azzardo e questo legame col gioco sopravvive a tutt’oggi.
I motivi ornamentali delle carte da gioco hana-fuda vengono spesso riprodotti, in rosso e in nero, nel tatuaggio yakuza: fiori di ciliegio, foglie rosse di acero ecc.

Altri soggetti preferiti dai gangster yakuza sono Fudo, nume tutelare della criminalità, e Nio, il muscoloso guardiano.
Il tatuaggio negativo o nascosto è un tatuaggio piuttosto raro, bianco, diffuso in Giappone soprattutto tra le donne, ottenuto attraverso l’utilizzo di polvere di riso o di ossido di zinco, che rende possibile la sua visibilità solo in determinate circostanze, per esempio quando la persona tatuata è in uno stato di eccitazione: durante l’atto sessuale, prendendo un bagno caldo o quando si bevono alcolici.    
In questi casi, allora, il tatuaggio bianco affiora in rosso. I giapponesi chiamano questo tatuaggio kakoushibori che, letteralmente, significa ‘tatuaggio nascosto’.”



[72] Fercioni Gnecchi L., op. cit., p.73.

3.1.1 IL TATUAGGIO NELLE SOCIETA’ TRADIZIONALI
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3.1.3 Il TATUAGGIO GIAPPONESE
3.1.4 IL TATUAGGIO OCCIDENTALE