4.7 DEFORMAZIONE PERMANENTE DEI GENITALI MASCHILI
     
4.7.1 SUBINCISIONE, SUPRAINCISIONEE BIFORCAZIONE
DEI GENITALI MASCHILI [101]
4.7.2 CIRCONCISIONE MASCHILE
4.7.3 ALLUNGAMENTO DEL PENE
La subincisione consiste in un’incisione profonda della parte inferiore del pene, a partire dall’uretra fino alla base. Il canale uretrale viene dunque aperto, parzialmente o del tutto, nella sua zona inferiore. “L'incisione iniziale si estende generalmente di due o tre centimetri, ma può venire in seguito prolungata in modo tale da collegare il glande alla radice dello scroto. Così, tutta la zona inferiore dell'uretra penica rimane aperta."[102]
Presso le culture preletterate, praticata generalmente in contesti di iniziazione rituale, la subincisione, a differenza della circoncisione, viene effettuata dall’individuo stesso o da altri, ma sempre dietro sua esplicita richiesta. Bruno Bettelheim, a tale proposito ha osservato come essa, oltre ad essere una mutilazione volontariamente scelta, non deve essere considerata come rito di passaggio, in quanto non altera la posizione sociale dell'individuo.[103]
In molti casi la subincisione è solo parziale, in questo caso, qualora l’incisione inizi al di sotto del glande, viene detta supraincisione. Qualora invece l’incisione profonda superi i limiti della subincisione, nel caso per esempio venga tagliata la testa del pene, esistono possibilità che variano dalla biforcazione della punta del pene fino alla sezione totale dello stesso. In altri casi, è possibile che il glande venga lasciato intatto, mentre è il resto del pene che viene inciso in profondità. Fra i rischi connessi a questi interventi, quello di contrarre un’infezione o che si verifichi una forte emorragia (conseguenza della recisione di una vena o di un’arteria). La biforcazione della punta del pene può compromettere significativamente la rigidità del pene nella fase erettile. Le ragioni che di solito condizionano il ricorso a queste pratiche:

1. Chi ha già una piccola incisione del canale uretrale vi ricorre per ragioni mediche o di natura sessuale (la parte interna dell’uretra sembra essere più sensibile di quella esterna);


2.     l’intervento può essere voluto dal partner di colui al quale viene praticato, in quanto il pene subisce un aumento del diametro e modificazioni della superficie;

3.     ragioni di ordine puramente estetico e feticista, infine, in alcuni casi ispirano il ricorso a tali pratiche.  

Trattandosi di una procedura chirurgica, dovrebbe essere eseguita da un chirurgo, ma alcuni preferiscono il “fai-da-te”, utilizzando, generalmente, un comune paio di forbici. In questi casi, la parte da trattare viene di solito (ma non sempre) preventivamente anestetizzata, la base del pene viene stretta con lacci emostatici per un tempo compreso fra i quindici ed i quarantacinque minuti, in modo da bloccarne la circolazione (riducendo così il versamento di sangue e la sensibilità al dolore). A questo punto è possibile effettuare il taglio. Fra le varie possibilità di riduzione del rischio di emorragie, esiste l’utilizzo di nitrato d’argento (tenendo presente che si tratta di una sostanza che può causare discoloramento irreversibile dell’epidermide trattata) o di altri coagulanti. Il taglio, soprattutto nel caso di supraincisione, per evitare che si richiuda durante il processo di guarigione, richiede una sutura (gli aborigeni australiani suturano con spine vegetali). Una volta terminata tale operazione è possibile rimuovere il laccio emostatico e fasciare la parte. Una supraincisione correttamente eseguita prevede un periodo di guarigione poco più lungo di una settimana mentre una subincisione richiede alcune settimane, a volte un mese. Il processo può essere favorito da immersioni in soluzioni saline e soprattutto evitando contatti sessuali. Poiché questi interventi comportano un’apertura del canale uretrale, ne derivano delle modificazioni della minzione. In alcuni casi di biforcazione totale dei genitali, per quanto rari, si verifica una perdita di sensibilità o di capacità erettile. Quella che segue è l’esperienza personale di un quarantenne americano, raccontata in un’intervista su BMEZINE[104], che ha scelto di modificare la propria genitalità in modo estremo, ossia operando una biforcazione completa dei propri genitali.
“Sono un uomo di quarantun’anni, omosessuale. Convivo con il mio partner, due anni più giovane di me ed entrambi riteniamo la nostra relazione, che dura da quattro anni e mezzo, permanente. Sfortunatamente, lui non è affatto entusiasta del mio interesse per le modificazioni corporee: non è contrario alla modificazione del corpo in sé, ma è l’idea di me che modifico il mio corpo chirurgicamente a spaventarlo. Ho un diploma in Geografia Economica (…) e, fino a qualche tempo fa sono stato manager in una società dipendente da una grande compagnia assicurativa. La mia vita sociale ruota attorno alla mia casa ed al mio convivente, alla famiglia biologica (la mia e la sua), ad una modesta cerchia di amici e ad una gran quantità di conoscenze che vanno e vengono. (…) Viviamo in un ranch alla periferia di Columbus, in Ohio. Sono il primo di cinque fratelli, ho tre sorelle e un fratello.(…) Nel mio caso esiste una connessione fra modificazione corporea e orientamento sessuale: il processo che mi ha portato a prendere coscienza di desiderare altri uomini (e le implicazioni che ciò avrebbe avuto provenendo da una famiglia conservatrice, oltre al dover rinunciare ad aver figli) è stato anche un processo di superamento dei tabù, che mi ha portato a stabilire un rapporto confidenziale fra me e Dio, anziché a sottomettermi ad una definizione di moralità fornita da altri. Tutto questo mi ha aperto delle possibilità che per me prima di allora non esistevano neppure. Ero rimasto segretamente affascinato, appena adolescente, dall’idea di biforcare il mio pene, da che avevo letto della circoncisione rituale presso alcuni aborigeni australiani, ma non avrei mai permesso a me stesso di pensarci seriamente. Adesso, avendo superato questo tabù ed avendo definitivamente accettato la mia omosessualità, ho iniziato a pensare a ciò che precedentemente mi sembrava semplicemente impensabile. All’improvviso, non solo mi sembrava possibile prendere in considerazione l’idea di biforcare il pene, ma oltretutto sentivo che questo rimodellamento dell’organo sessuale simbolizzava il cambiamento avvenuto dentro di me. L’idea di una modificazione dei genitali, inoltre, mi eccitava molto da un punto di vista erotico. Altri aspetti della mia vita sono cambiati, ma si tratta soprattutto di cambiamenti interni piuttosto che esteriori. Ora sono capace di osservare la mia vita (ed il mio corpo) da una prospettiva più ampia, di essere padrone del mio corpo e della mia vita piuttosto che schiavo di esso e costantemente spaventato dalla morte. (…) Non intendo dire che esiste sempre una relazione diretta fra orientamento sessuale e modificazione corporea. Nel mio caso si è trattato di superare il timore di essere rifiutato – non solo dagli altri, ma anche da Dio – accettando il mio orientamento sessuale, accettazione che mi autorizzava ad esplorare un interesse verso la modificazione corporea rimasto, sino ad allora, latente, ma non penso che esso derivi dalla mia omosessualità. Ho il sospetto che un interesse latente verso le modificazioni corporee sia probabilmente presente in tutti, a prescindere dall’orientamento sessuale, forse in maniera minore in persone il cui orientamento sessuale non sia in conflitto con le convenzioni sociali. Ho iniziato a desiderare di modificare il mio corpo (non solo a livello genitale) quand’ero ancora molto giovane, ed alcune modificazioni le ho poi realizzate. Ho il ricordo di una sera tardi, mentre guardavo con i miei genitori un programma televisivo sul continente perduto, Atlantide. Nel filmato c’erano creature ibride, il cui corpo era quello di un giovane e la testa di un toro. Mi ricordo la sensazione di essere risvegliato da questa visione, malgrado non sapessi neppure che ciò che sentivo avesse un nome. Mi ricordo anche di un programma televisivo per bambini che andava in onda il sabato mattina, in cui persone normali potevano trasformarsi in “uomini-pianta” grazie all’iniezione di una sostanza. Lo trovavo interessante, tanto da chiudere gli occhi ed immaginare il mio corpo che cambiava forma e le mie braccia che si riempivano di foglie. Quando crescendo divenni più consapevole dei miei genitali, mi piaceva inserire vari oggetti nell’uretra. Mi ricordo che già allora ebbi la vaga idea di modificare la forma dei miei genitali, ma nulla di preciso. Penso di aver avuto paura nel realizzare che stavo superando il limite, così non mi soffermai a pensarci più di tanto. Quand’ero adolescente mi eccitavo moltissimo nel leggere di riti di circoncisione e ricordo la sensazione di rimpianto per non avere più il prepuzio (ero stato circonciso alla nascita) e la possibilità di una circoncisione più consapevole. Ancor più eccitante fu l’aver appreso, leggendo dei riti di iniziazione degli aborigeni australiani, che gli adulti sceglievano di sottoporsi a subincisione e che presso alcune tribù essi tagliavano non solo la parte inferiore, ma anche la punta del pene, cosicché questo appariva biforcato, in omaggio al dio-serpente. Allora non avrei potuto seriamente pensare che avrei poi praticato questa stessa tecnica su di me, ma non potevo smettere di pensarci e desideravo segretamente modificare i miei genitali in questo modo. 6-7 anni fa [ora ha 41 anni] vidi una fotografia di Carl Carrol, la prima volta che vidi un pene biforcato e mi tornò in mente ciò che avevo letto a proposito degli aborigeni australiani. La foto di Carl Carrol mi ispirò ad andare avanti. Il processo che mi ha condotto alla biforcazione di genitali è stato graduale: iniziato con piercing intimi, continuato con la subincisione. Quest’ultima è sempre stato un desiderio, ma ne avevo paura. Iniziai a convincermi che avrei potuto realizzare questo desiderio quando, dopo aver aumentato le dimensioni del canale uretrale, vidi la foto di Carl Carrol. Un venerdì notte mi sentii ispirato. Me ne stavo nella mia vasca da bagno, credo con l’idea di praticare una supraincisione su di me. Quando iniziai a tagliare non avrei mai pensato che sarei andato così lontano. Vedere il glande completamente aperto, dopo aver completato la supraincisione, mi eccitò al punto tale da voler andare oltre. Dopo i primi tagli il dolore sembrò dissolversi e mi sembrò quasi di osservare il tutto dall’esterno. Smisi quando il sanguinamento divenne eccessivo. A quel punto l’incisione aveva attraversato il pene completamente, sino allo scroto. Il mese seguente ero a San Francisco per affari e decisi di prendermi una vacanza (risparmiando sul costo di un biglietto aereo). Era la fine di settembre ed avevo inizialmente pianificato di andare in macchina sulla costa. Iniziai il viaggio, ma già alla fine del primo giorno sentii la mancanza di un contatto umano, così tornai a San Francisco, dove andai a trovare una coppia di ragazzi conosciuti a Columbus che si trovava lì per una leather week (io, come uno stupido non sapevo neppure cosa fosse e ne ero già dentro). Quella notte raggiunsi ragazzi in uno dei leather club e loro mi invitarono ad una festicciola privata. Fu uno dei due, Scott, a suggerirmi l’idea di una completa sezione dei genitali (o almeno è così che io interpretai allora le sue parole, in realtà venni poi a sapere che intendeva solo la sezione della sacca scrotale). Non fui certo obbligato a farlo con la violenza: subito dopo aver ascoltato le parole di Scott ero al lavoro sulla metà superiore. L’operazione dovette essere completata a più riprese: lì il tessuto è più spesso e resistente che nella parte inferiore, oltre ad essere più ricco di fibre nervose, cosicché si il dolore è sopportabile solo tagliando poco alla volta. Ad eccezione delle persone con cui ho avuto una relazione, solo alcuni dei miei amici sanno delle mie modificazioni corporee. Penso che modificazioni estreme richiamino emozioni ataviche che metterebbero a disagio i miei amici, se essi dovessero confrontarvisi. In altre parole, penso che loro avrebbero paura di scoprirsi diversi da quello che sono. Le persone con cui ho delle relazioni hanno reazioni diverse: alcuni la prendono male, ma sono in genere delle persone assolutamente ottuse con le quali non avrei comunque nulla da condividere; la maggior parte resta indifferente; per pochi non è mai abbastanza. Non mi è ancora capitato, ma mi piacerebbe incontrare qualcuno che abbia modificazioni simili alle mie. Considero le mie modificazioni come qualcosa di assolutamente personale, impossibile da condividere con chiunque, ma preferisco condividerle con chi giudico mentalmente aperto e poco incline a giudizi morali. Mi sento orgoglioso delle mie modificazioni. Soprattutto in certe situazioni, sono un po’ esibizionista. Mi piace la reazione che riesco a suscitare in alcuni. Modificazioni come le mie, inoltre, sono certamente rare. Mi piace l’idea di essere considerato come colui che è in grado di attuare modificazioni così particolari. Uso gli orinatoi solo in certe circostanze, per esempio in un leather bar, dove non mi siederei mai, ma di solito mi crea qualche imbarazzo essere guardato. Ho il sospetto che nei bagni pubblici gli altri uomini rimangano senza parole: non sono certi di quel che vedono. Non cerco di trovare giustificazioni alle mie modificazioni estreme, né per me stesso, né per gli altri. Non ho mai pensato, neppure per un istante, di essere pazzo per averle realizzate. È il mio corpo quello che modifico e fino a che riesco a trarne piacere, tutto quello che ne faccio non è molto diverso dalla circoncisione a cui sono stato sottoposto alla nascita. Se quello di “pazzia” non è che un concetto socialmente costruito, se il termine “pazzo” corrisponde a “differente” o “eccentrico” o “marginale” o quant’altro, allora questa definizione mi si addice (all’interno della cultura americana), ma non è affatto un problema per me, perché, usata con questa valenza, non la considero come etichetta negativa. Definire pazza una persona che ha modificato il proprio corpo in modo estremo credo sia piuttosto frutto di una grande confusione, giacché pazzo indica la presenza di importanti disfunzioni psichiche e non semplicemente l’essere diverso. Questo non significa, però, che non esistano forme di auto-mutilazione che non siano rapportabili a vere e proprie turbe psichiche, semplicemente che non basta un primo sguardo per capirlo. Nel caso della subincisione, ho utilizzato un coltello, sterilizzato, molto affilato e preciso, ma dopo aver tagliato circa tre centimetri, ho notato comunque una slabbratura del taglio ed è per questo che ho preferito usare delle forbici nuove che in effetti tagliavano con precisione. Rispetto alla supraincisione, invece, è iniziata tagliando la testa del pene a partire dal centro, sempre con un coltello molto affilato. E’ stato un processo lungo, in parte a causa del sanguinamento, in parte a causa del dolore fortissimo, terminato con la scissione completa della testa del pene. Non ho mai utilizzato anestetici perché voglio provare quel che si sente nel tagliare. Per me si tratta di un rito di introduzione alla virilità. Ad essa si accede solo attraverso il dolore. Voglio sentire il mio corpo, quando eseguo questo rito. Questo ovviamente non significa che io non cerchi soluzioni il meno dolorose possibile, ma gli anestetici sono soluzioni troppo artificiali. La subincisione non ha comportato un dolore eccessivo. Una volta effettuati i primi tagli, le endorfine mi hanno reso euforico ed estraniato rispetto al mio stesso corpo. Ma la situazione si fa pericolosa quando si verifica un sanguinamento eccessivo e non riesco a smettere di tagliare. Ho avuto esperienza di una vera e propria emorragia, verificatasi a partire dalle dodici ore successive al taglio. Sono rimasto a letto per tre giorni, alzandomi solo per bere del latte e prendere delle vitamine. (…) Ho imparato sulla mia pelle che è importante fermarsi quando si verifica un sanguinamento eccessivo. Bisogna lasciare invece che la ferita guarisca prima di procedere oltre. Il sanguinamento in sé non mi ha mai fatto troppa paura, mentre ho creduto di morire e perso coscienza quando ho visto zampillare del sangue. Al termine del processo di guarigione (durato mesi), avevo notato una riduzione della sensibilità lungo la superficie interna dell’incisione e nell’area attorno ad essa. Nel tempo, però, ho recuperato quasi del tutto la sensibilità e scoperto quanto possa essere sensibile la superficie interna, che ora è ovviamente esterna. Fra gli effetti collaterali, legati alla mia modificazione dei genitali, ce n’è uno che non avevo preventivamente considerato, ossia che le mie erezioni non sono più quelle di una volta: continuo ad averne ma con un grado di rigidità inferiore. Non ho alcun interesse, invece, per qualsiasi forma di nullificazione. Voglio continuare a giocare con i miei genitali: una volta rimossi, il divertimento è finito. (…) Credo che il nostro spirito trascenda il corpo e che continui ad esistere anche dopo la morte. Credo in un essere superiore buono, un Dio, e che esistano limiti precisi di definizione fra bene e male. Trovo conforto nella preghiera. Cerco di vivere in accordo con questi miei credo. Non ho paura di quel che mi aspetta dopo la morte, perché credo che Dio conosca la sincerità del mio desiderio di conoscere la verità e di agire nel bene. (…) Ad un livello simbolico, la biforcazione dei miei genitali rappresenta il superamento della morte del corpo fisico e della paura di ciò che mi attende dopo la morte. Per me rappresenta la vittoria, all’interno di una battaglia morale, che fa dissolvere, in me, queste paure. A coloro che pensano a modificazioni simili consiglio di non correre troppo e di prendere delle precauzioni, ma soprattutto di farlo solo se sicuri che è quel che si vuole, tenendo presenti le conseguenze che ne derivano e il fatto che esse, inevitabilmente, implicheranno una serie di cambiamenti nella propria esistenza. Parlare con qualcuno che ha già avuto un’esperienza simile, è certamente utile, sempre, però, che sia una persona equilibrata e che soprattutto non cerchi di convincere gli altri a farlo.



 


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