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Come si diventa uomini? A partire da questa domanda, cui ogni cultura
suggerisce ai suoi membri delle possibili risposte, rispetto alle quali
ognuno è libero di scegliere quale, inizia questo percorso esplorativo,
volto all'analisi dell'esigenza umana, universale, di riscattarsi dalla
condizione di datità biologica attraverso una riplasmazione, interna ed
esterna, che presuppone un progetto individuale di riconfigurazione del
sé.
Nel primo capitolo trova spazio l'analisi, tracciata a grandi linee, del
dibattito storico accesosi attorno alla dualità, non ancora del tutto
superata, fra corpo ed anima. Malgrado la filosofia occidentale abbia
tentato di ricomporre questa scissione attraverso il concetto di "corpo
psichico", tuttavia, nella realtà, la conflittualità corpo/spirito continua
a mietere le sue vittime, generando disagi epocali che, benché variino
per le forme degenerative sotto le quali si manifestano, denunciano tutti
uno stesso malessere, riconducibile appunto a questa dicotomia. I disturbi
del comportamento alimentare, in quest'ottica, appaiono più che mai connessi
ai condizionamenti socio-culturali che sono stati elaborati dall'Occidente
nell'ultimo cinquantennio e che sfruttano l'azione di diffusione/assorbimento
subliminale dei messaggi/modelli proposti dai mass-media. Attraverso la
loro azione, silenziosa ma costante ed efficace, abbiamo già assorbito
modelli comportamentali ed estetici inarrivabili - di cui, pur volendo,
non riusciamo a liberarci - costruiti dalla fantasia maschile e proposti
come accessibili tramite il denaro. E' questa, secondo le logiche consumistiche
imperanti, la magica pozione con la quale tutti i nostri desideri materiali
sembrano potersi avverare.
Il corpo naturale, con le sue rotondità e le sue defaillance, appare così
tristemente goffo, rispetto ai fisici plastici e scolpiti proposti dalle
tendenze contemporanee. Mai come ora il corpo naturale è stato motivo
di insoddisfazioni, frustrazioni e inquietudini dismorfobiche, in nome
delle quali l'Occidente, tradizionalmente contrario alla trasformazione
umana di un corpo dato da Dio, ha abiurato a questa intolleranza millenaria.
I corpi astratti di cui siamo circondati non sono più i luoghi dell'eros
che fino al secolo scorso accendevano il desiderio e venivano per questo
pudicamente nascosti allo sguardo altrui. Questi corpi sono talmente astratti,
ormai, che per quanto resi plastici da ore di palestra e dorati dalle
lampade abbronzanti, nonché levigati da massaggi e creme costosissimi
e scolpiti dalla chirurgia plastica, risultano totalmente disincarnati,
incapaci di comunicazioni erotiche che trascendano la volgarità.
Di fronte ad un corpo che perde progressivamente la sua capacità comunicativa
ed espressiva degli stati emotivi, si amplifica il bisogno di gridare
al mondo chi siamo, di esternare i nostri universi emozionali e comporre,
in forma visiva, la percezione di un noi spesso non corrispondente al
reale, ma semplicemente desiderata.
In quest'atmosfera di assopimento delle capacità critiche individuali
e dei sensi stessi, ridotti alla sottomissione alla predominanza visiva,
stiamo tuttavia lentamente prendendo coscienza delle nostre effettive
possibilità di riappropriazione di un corpo le cui capacità sensoriali
sono state per troppo tempo sottovalutate.
L'Occidente che si ribella a questo processo di narcosi delle coscienze,
processo che tende ad omologarci secondo modelli standardizzati, si muove
in due direzioni opposte: i cosiddetti neo-primitivi sono coloro che scorgono
una possibilità di riconquista del sé corporeo assimilando e reinterpretando
modalità caratteristiche di contesti culturali "altri". Quel bisogno di
scandire le tappe fondamentali dell'esistenza umana attraverso il rito
e le pratiche di iscrizione del sociale sul corpo, non è più esclusiva
delle società preletterate, ma si diffonde prepotentemente, a partire
da questi ultimi decenni, anche in Occidente.
Tatuaggi e piercing, in particolare, stanno progressivamente perdendo,
nelle società occidentali, quella connotazione negativa che ormai appartiene
al passato.
Sarebbe semplicistico ritenere responsabile di questa diffusione le sole
tendenze-moda. Anche se ciò è vero in alcuni casi, non si può certo generalizzare.
Una diffusione così massiccia del tatuaggio, segno praticamente indelebile
(seppure rimovibile con la tecnologia del laser, questa tecnica comporta
pur sempre la permanenza di cicatrici in luogo del tatuaggio rimosso),
è piuttosto interpretabile come espressione del bisogno archetipico di
imprimere sul proprio corpo le tracce di una personalità in continua evoluzione
per non dimenticare.
I promotori di un cybercorpo, d'altro canto, promuovono il superamento
dei limiti biologici attraverso l'ausilio della tecnologia più avanzata.
E proprio lungo questa direttrice tecnologica sembrano muoversi i nostri
orizzonti.
Nel secondo capitolo, le dinamiche del processo di omologazione dei modelli
socioculturali/anestetizzazione dei sensi vengono approfondite, soffermandosi
sulle distorsioni percettive del sé e della realtà circostante che questi
meccanismi hanno ingenerato. La morte, la malattia, l'invecchiamento,
per citare solo alcuni esempi, non possono più essere considerati eventi
naturali (e dunque accettati passivamente) laddove la tecnologia ne promette
e talvolta realizza sin d'ora una posticipazione o addirittura un superamento.
L'epoca in cui viviamo, com'è già stato notato da Michel Foucault, non
sta celebrando la morte di Dio, ma quella del corpo, di un'entità limitata
dalle sue stesse strutture biologiche.
Cosa è reale? Cosa non lo è? Particolarmente arduo è operare una distinzione
netta fra virtualità e quotidianità concreta. Le nuove tecnologie digitali,
sostituendosi ai tradizionali processi evolutivi, stanno modificando (talvolta
moltiplicando) non solo le nostre possibilità, ma anche le nostre vite,
le nostre capacità percettive neuronali.
Stelarc è fra i promotori di queste applicazioni tecnologiche al corpo
e al quotidiano, finalizzate ad un superamento dei limiti umani. Le sue
performance stanno ispirando una produzione artistica post-organica che
testimonia le effettive potenzialità di un corpo mutante, riprogettato
secondo la volontà individuale, finalmente attiva e totalmente libera
di scegliere le proprie modalità di essere ed apparire. Ed è su questo
stesso tema che si confrontano i vari perfomer, operanti nell'ambito della
body-art, di cui si parla appunto in questo secondo capitolo.
Attraverso le loro performance, l'arte viene liberata dalla funzione decorativa
e politicizzata, ossia responsabilizzata di un'azione di risveglio coscienziale.
L'artista è creatore e creatura, al tempo stesso, agisce sul proprio corpo
un'azione metamorfica, fisica e al contempo identitaria, infierisce su
di esso, ne oltraggia le carni e provoca, nel pubblico, una reazione emotiva
attraverso un insolito utilizzo di un linguaggio organico che dimentica
i fonemi e invece utilizza fluidi e materie organici.
Orlan, mossa dallo stesso spirito contestativo del sociale che anima gli
altri performer, ha però incentrato la sua arte sulla dissoluzione dei
canoni estetici imperanti e del mito dell'identità data, fissa ed unica,
partendo dall'idea che in ognuno di noi si annidi invece un'entità in
continuo divenire, mutevole, cangiante, che non può sentirsi rappresentata
da un'immagine fisica più o meno costante e soprattutto non scelta. Nel
tentativo di risolvere questo scarto fra l'immagine del sé interiore e
quella esterna, Orlan riprogetta il suo viso - perché ritiene che sia
soprattutto il viso a rappresentarci - secondo canoni estetici del tutto
estranei a quelli ufficiali. La scelta di Orlan di ricostruire la sua
identità attraverso un processo metamorfico che si avvalga della chirurgia
plastica non è stato condiviso largamente, specie da coloro che non hanno
saputo cogliere l'azione di boicottaggio alla stessa chirurgia plastica
messa in atto dalla sua arte. Con il suo nuovo viso, Orlan è ormai assurta
a simbolo della lotta femminista alle pressioni estetiche operate sulle
donne dalla cultura occidentale.
Ancora all'interno di questo capitolo, viene rapidamente analizzato il
fenomeno conosciuto come "cyberpunk", che propone un utilizzo anarchico,
non rispettoso delle regole sociali, del proprio corpo, dando libera espressione
ai desideri e alle emozioni. Il desiderio di far musica, per esempio,
non necessariamente si realizza in virtù di un'abilità tecnica. Fare musica
può semplicemente dire utilizzare il proprio corpo e oggetti recuperati
a caso per produrre suoni. In un'ibrida commistione di macchine e rifiuti,
l'individuo riprogetta le forme dimenticando le funzioni possedute da
quegli oggetti in origine. Anche i cyberpunk si considerano mutanti, identità
instabili e multiformi che, incapaci di fermare la propria storia in uno
spazio e in un tempo, ma soprattutto in una sola forma.
Nel terzo capitolo vengono descritte le pratiche di trasformazione corporea
non-estreme, il tatuaggio ed il piercing. Esse vengono considerate non-estreme
non in senso assoluto, perché allora il tatuaggio, in virtù della sua
irreversibilità non potrebbe essere reputato tale, ma in senso relativo,
ossia in funzione della loro crescente diffusione nella società occidentale.
Dopo un discorso introduttivo sulle origini del tatuaggio, il discorso
si focalizza sulle diverse funzioni che tale pratica assume presso le
società tradizionali, e sulle diverse tecniche che contraddistinguono
il tatuaggio occidentale da quello polinesiano o giapponese.
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