4.8 MUTILAZIONE DEI GENITALI FEMMINILI

Le pratiche di mutilazione della genitalità femminile, per la complessità delle loro possibili interpretazioni in antropologia, richiederebbero un’analisi approfondita. Quelli che seguono sono solo accenni. Ormai conosciute con la sigla “Mgf” comprendono una serie di possibili interventi, essenzialmente riducibili a tre categorie:

- asportazione del prepuzio della clitoride (sunna);

- asportazione totale della clitoride ed escissione totale o parziale delle piccole labbra (clitoridectomia);

- ablazione completa della clitoride e delle piccole labbra , con cucitura delle grandi labbra (infibulazione).

La clitoridectomia e l’infibulazione sono pratiche piuttosto diffuse in Egitto, in Arabia Saudita, in alcuni paesi dell’Africa orientale, in Somalia, a Gibuti ed in Sudan, in Indonesia e Pakistan. L’età in cui le donne vengono sottoposte a queste pratiche può variare dai primi giorni di vita alla pubertà. Più raramente, si verifica un’infibulazione dopo la prima gravidanza. In alcuni casi, invece, l’infibulazione viene ripetuta dopo ogni parto.
Rispetto a tali pratiche, in seno all’Occidente è in atto una vera e propria lotta, condotta dalle fasce di rivendicazione dei diritti delle donne. Esse sostengono l’impossibilità di tollerare ulteriormente l’esistenza di queste pratiche, nella convinzione che le donne ad esse sottoposte subiscano una vera e propria violenza.
Quello che tale movimento ritiene inoltre inaccettabile è che la vita stessa delle donne venga esposta a rischi mortali in nome di una tradizione maschilista tesa a negare il piacere sessuale femminile. Gran parte delle donne sottoposte a queste mutilazioni devono poi confrontarsi, oltre che con un dolore fisico enorme, con emorragie, stati di shock, infezioni (tra le quali l’Aids), lesioni dei tessuti limitrofi alle parti recise, ritenzione urinaria e, infine, con una negazione del proprio diritto di essere donna.
La tradizione su cui queste mutilazioni si fonda, tramite queste pratiche intende, essenzialmente, preservare la verginità e la fertilità femminili. Nella realtà, invece, spesso, in seguito a tali interventi, si verificano complicazioni che comportano la sterilità (che in alcune culture si traduce nell’essere ripudiate ed emarginate dalla società), nonché problemi di deflusso mestruale. In quest’ultimo caso, il sangue mestruale, nell’impossibilità di defluire regolarmente, ristagna nell’addome e produce infezioni letali o un’apparente stato di gravidanza che in alcuni casi conduce al ripudio della donna da parte del marito, che la considera infedele.[112]
Del tutto indipendenti da ragioni ideologiche e religiose, sono le modificazioni della genitalità femminile a cui alcune donne, in Occidente, scelgono di sottoporsi, ricorrendo alla chirurgia estetica. In alcuni casi, queste modificazioni vengono suggerite da una personale insoddisfazione rispetto all’anatomia dei propri genitali e dunque effettuate per ragioni di ordine estetico. In altri casi, invece, laddove le labbra vaginali hanno dimensioni maggiori rispetto alla norma, vengono in questo modo semplicemente “ridotte” a dimensioni standard. L’intervento sul prepuzio clitorideo, invece, viene solitamente effettuato per aumentare il piacere sessuale femminile attraverso l’esposizione della clitoride all’esterno. In alcuni casi, infine, in esso viene praticata un’apertura per facilitare l’applicazione di un piercing clitorideo. Queste pratiche vengono effettuate ricorrendo alla chirurgia plastica o a privati che si cimentano in pratiche di questo tipo. Oltre ai possibili rischi di infezione o di emorragia, bisogna tener conto anche dell’eventualità che si presentino problemi connessi al processo cicatrizionale. Nel caso poi di modificazioni relative al prepuzio clitorideo, bisogna tener conto del rischio di danneggiare la clitoride, e che dunque ne risulti ridotta la sensibilità.




[112] da Marie Claire, febbraio 2001.