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Tale pratica consiste nell’uso prolungato di
corsetti costrittivi che riducano la circonferenza del busto per ragioni
di ordine esclusivamente estetico. L’uso di busti finalizzati a questo
scopo è comune a moltissime culture e si riscontra in epoche anche molto
lontane. Le testimonianze più antiche di questa pratica di rimodellamento
del punto vita riconducono alla civiltà minoica, che pare si avvalesse
di cinture, anziché di busti. Tale pratica era diffusa, indiscriminatamente,
fra uomini e donne di età compresa fra i 15 ed i 25 anni.
Fra il '700 e l’'800, l’uso di speciali busti venne introdotto nel sistema
di addestramento degli ufficiali dell’esercito francese ed inglese. Il
corpo degli ufficiali ne risultava rimodellato, tanto che le loro divise
erano riconoscibili già dal taglio.
Per circa un secolo, a partire dalla fine dell’'800, la riduzione del
punto-vita si impose nel campo della moda, al punto tale che le donne
dalla vita generosa dovettero sottoporsi a vere e proprie torture pur
di indossare abiti à la page. Oltre al disagio che l’uso sistematico
e prolungato di un busto molto stretto comporta, bisogna considerare che,
in casi estremi, esso provoca un vero e proprio riassestamento degli organi
interni. Intorno al 1880, in considerazione dei risultati delle prime
ricerche scientifiche effettuate in Germania sulle complicazioni legate
ad un busto eccessivamente costrittivo, esplose una sorta di psicosi,
alimentata da una propaganda negativa spesso esagerata. I francesi, d’altro
canto, rimasero fedeli sostenitori del corsetto, in nome dell’eleganza
da esso conferita.
Già all’inizio del '900, la moda del busto stretto stava tramontando.
Le donne che investivano la propria esistenza su una riduzione della circonferenza-vita
appartenevano, di solito, al mondo dello spettacolo. Alcune di esse vantavano
circonferenze da record. La donna che rimase per questo leggendaria
fu Ethel Granger, dalla circonferenza-vita di 32,5 centimetri. Dopo quasi
un secolo di oblio, l’uso del corsetto come strumento di riduzione della
circonferenza del busto sta tornando in voga, soprattutto fra i cultori
delle modificazioni corporee estreme.
Presso il popolo dinka, in Africa, l’uso del busto costrittivo è pratica
ordinaria. Gli uomini dinka possiedono un corsetto fatto di perline, il
cui colore indica la fascia di età a cui appartengono: il rosso ed il
nero contraddistingue coloro che rientrano nella fascia di età compresa
fra i 15 ed i 25 anni; rosa e viola distingue la fascia di età compresa
fra i 25 ed i 30 anni; il giallo segna il superamento di queste fasce
di età.
In Nuova Guinea, presso gli Ibitoe, era usanza radicata quella di rimodellare
il busto maschile, a partire dall’adolescenza, attraverso l’uso di speciali
cinture molto strette, conosciute come cinture itiburi. Il momento
in cui la cintura veniva apposta al corpo del ragazzo segnava la sua entrata
nel mondo adulto e rappresentava, per lui, una prova alquanto gravosa
di sopportazione del dolore, da superare, pena il disonore personale e
familiare. Sotto la cintura, che non poteva in nessun caso essere rimossa,
il corpo veniva fasciato strettamente. Solo dopo aver superato la fase
iniziale, il ragazzo aveva la facoltà di scegliere una cintura più stretta
o più larga, più flessibile o più rigida, che sostituisse l’originaria.
Di solito, la prima fascia era in tela, quella scelta in seguito in corteccia.
L’uso delle cinture itiburi, riducendo il punto-vita dei ragazzi
a circonferenze minime, li rendeva anche meno atti allo sforzo fisico.
Solo l’adozione di una cintura in corteccia segnava l’entrata nel mondo
adulto a tutti gli effetti. Sino a quel momento, il giovane non poteva
essere scelto come marito, né aveva diritto ad essere chiamato “itiburi”.
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