2.2 IL PROCESSO METAMORFICO IDENTITARIO


“La convinzione di essere un individuo è la nostra maggior limitazione.”
(Pir Vilayat Khan)


Cosa s’intende per “identità”? E’ su questo che indagano, a partire dagli anni '70, le rivoluzionarie e per certi versi blasfeme performance di Orlan.
L’artista francese inizia la sua attività artistica negli anni '60, periodo caratterizzato dalle rivolte studentesche a Parigi, dalla “rivoluzione sessuale” e dai nascenti teatri di strada populistici. Come artista dedita alla pittura, Orlan ha sempre usato il proprio corpo in modo assolutamente non-convenzionale, come sfida agli stereotipi legati al genere, come attacco diretto alla religione e per stimolare una reazione sociale. In occasione di una delle sue prime performance, appunto negli anni '60, Orlan espose le lenzuola del suo corredo matrimoniale, lenzuola che erano “macchiate“ di sperma. Esponendo in questo modo la sua sessualità, Orlan intendeva ridicolizzare il concetto di “verginità” femminile. Negli anni '80, Orlan ha suscitato la reazione del pubblico parigino esponendo degli ingrandimenti di fotografie che riproducevano i suoi genitali. Lei stessa aveva modificato i colori originali delle fotografie esposte, cosicché il pube era stato dipinto di giallo, blu e rosso (quest’ultimo colore doveva essere interpretato come simbolo del sangue mestruale. All’interno dei locali che ospitavano l’esposizione fu installata una videocamera perché i volti degli spettatori, ai quali veniva letto un testo di Freud sulla paura della castrazione, fossero ripresi. Alla fine degli anni '80, Orlan ha iniziato un progetto di trasformazione identitaria - che si avvale della tecnologia della chirurgia estetica iniziato progettando un auto-ritratto ideale, ottenuto al computer sintetizzando i tratti del viso di donne nate dalla fantasia di artisti molto celebri: la fronte della Monna Lisa di Leonardo Da Vinci, il mento della Venere di Botticelli, il naso della Diana di Fontainebleaus, gli occhi della Psiche di Gèrards e la bocca dell’Europa di Bouchers. Scelse le sue modelle non per la loro bellezza, ma per la loro capacità storica di esprimere simbolismi facilmente riconoscibili. Monna Lisa rappresenta la transessualità, poiché, sotto il ritratto della donna - come oggi sappiamo - si nasconde l’auto-ritratto dell’artista Leonardo Da Vinci; Diana è l’aggressiva avventuriera; Europa è colei che, piena di aspettative, guarda ad un futuro ignoto da un altro continente; Psiche personifica l’amore e la spiritualità; Venere rappresenta la fertilità e la creatività. L’innovazione del progetto di Orlan sta nell’aver ideato un proprio auto-ritratto non per poi riprodurlo su tela, ma perché fosse “scolpito” su un tavolo operatorio su se stessa. Il primo intervento ha avuto luogo il 30 maggio 1987 - in occasione del quarantesimo compleanno dell’artista - ed ad esso ne sono seguiti altri otto. Ogni operazione è stata vissuta, e non solo da Orlan, come un evento teatralizzato: nei locali in cui la performance viene realizzata, ci sono musica, ballerini di streaptease che intrattengono il pubblico, i chirurghi e le infermiere indossano costumi di high design e la stessa Orlan appare, con un seno nudo, in calze a rete e un vistoso cappello. Prima di sottoporsi all’intervento, Orlan bacia con ostentazione il chirurgo sulle labbra, confermando ancora una volta il suo illimitato desiderio di provocazione. Ogni performance ha un tema (per citarne alcuni: “Arte corporea/ Arte carnale”, “Questo è il mio corpo, questo è il mio software”, “Cambio di identità”, ecc...). Nel corso dell’operazione a cui si sottopone, scegliendo l’anestesia locale per poter rimanere vigile, come si è detto, Orlan legge testi filosofici, letterari o psicoanalitici, scherza, continua con la provocazione persino quando il suo volto viene trapassato dagli aghi o tagliato (situazione da lei stessa definita ”L’immagine di un cadavere che continua a parlare durante l’autopsia”.). Tutti gli interventi chirurgici sono stati filmati. La settima operazione-performance, risalente al 1993, è stata trasmessa via satellite nelle gallerie di tutto il mondo, per garantire un’interazione fra Orlan e gli spettatori esterni alla sala operatoria. In questa occasione l’artista, sottoposta ad intervento chirurgico, rispondeva alle domande che le venivano poste (il tema della performance era, del resto, “L’onnipresenza”).

Durante queste sue performance, Orlan espone i progetti presentati in occasioni di conferenze e festival e mostra foto e videoclip relativi agli interventi chirurgici che in quelle occasioni hanno avuto corso. “Il mio corpo è la mia arte” è il motto che l’ha spinta a collezionare ricordi delle sue operazioni e a custodirli in teche di plexiglas esposte nel suo studio in Francia. Questi “reliquiari” contengono parti della sua carne, conservati in una soluzione, parti del suo cuoio capelluto, da cui ancora pendono suoi capelli, cellule di grasso, prelevata dal suo viso, o brandelli di vecchi bendaggi, che hanno assorbito il suo sangue durante le operazioni. Le “reliquie” vengono provocatoriamente messe in vendita al prezzo di 10.000 franchi. Lei stessa, ironicamente, afferma che continuerà a proporre la vendita delle sue “reliquie” fino a che non avrà “più carne da poter vendere”[56].
Le performance di Orlan richiedono uno stomaco forte; nel corso delle stesse accade anche che molti, spettatori e spettatrici, abbandonino la sala durante la proiezione dei videoclip. Parecchie persone non riescono a sopportare la vista dell’artista nel suo dirigere la regia del taglio del suo stesso corpo. Le reazioni variano: dall’irritazione allo svenimento di alcuni spettatori – come è accaduto a Vienna. Orlan, introducendo le sue performance, si scusa con il pubblico presente per il disagio che la crudezza delle immagini provocherà loro e giustifica tale brutalità affermando che la finalità dell’arte è quella del superamento dei limiti, l’infrazione consapevole dei tabù, nonché l’essere sgradevole. (“L’arte non ha la funzione di decorare i nostri appartamenti, dal momento che di decorazioni ne abbiamo già parecchie: acquari, piante, tappeti, tendaggi, mobili…”)[57]. L’artista ed il pubblico devono provare malessere, secondo Orlan, perché ci obbliga a delle riflessioni.
In ogni suo progetto, Orlan mostra tutta la sua irriverenza nei confronti dell’establishment, la sua rabbia e la sua volontà di prendersi gioco dell’iconografia tradizionale. Le sue performance sono prese di posizione contro la datità umana, contro Dio, la Natura, il DNA stesso.
Uno dei suoi lavori viene ispirato dal testo di Antonin Artaud in cui l’autore propone l’idea di un corpo senza organi, idea che rifiuta la confusione tra corpo ed organismo, nonché l’identificazione del corpo con i suoi organi. Al contrario, Artaud ritiene l’organismo responsabile della deteriorabilità del corpo. Sarebbe dunque l’organismo soggetto a deperimento, e non il corpo, che dovrebbe essere reso autonomo rispetto alla sua organicità. Orlan, rileggendo Artaud, identifica in un processo di ibridazione tra naturale e artificiale, la possibilità di assicurare al corpo una sua autonomia.
Attraverso la sua arte, Orlan si interroga sullo status del corpo nella nostra società e sul suo futuro in rapporto alle nuove tecnologie. La tradizione vuole che l’idea di corporeità sia connessa alle idee di “innato”, di “dato da Dio” o “legato al destino della vita umana”. Le tecnologie moderne hanno annullato queste associazioni rendendole obsolete. La manipolazione genetica e la chirurgia estetica hanno infatti ormai raggiunto risultati tali da qualificare l’intervento umano sulla natura, il proseguimento della ricerca scientifica e la fiducia che i nostri bisogni e i nostri desideri verranno soddisfatti.
Orlan, come Stelarc ed altri, ritengono che in futuro i corpi perderanno sempre più significato, saranno niente più che un costume, un veicolo, comunque modificabile ed adattabile alle nostre temporanee auto-percezioni.
Nelle sue performance, sebbene si affermi la volontà di padroneggiare le tecniche di dominio della natura, viene sempre, allo stesso tempo, stimolata la riflessione sulle infinite, talvolta incaute, possibilità generate da questo dominio.
Partendo dall’analisi di un malessere generalizzato rispetto al vissuto corporeo, Orlan denuncia l’incapacità del corpo di rappresentare l’individuo.
Profondamente convinta della necessità di trasformare il corpo in modo che comunichi a se stessi e agli altri quello che noi sentiamo di essere ed altrettanto certa che sia soprattutto il volto a rappresentarci, Orlan inizia un processo metamorfico identitario imperniato sulla manipolazione plastica del viso. Quest’ultimo viene pensato come maschera, nella sua funzione simbolica, che annienta l’identità del soggetto, all’interno della tragedia greca. In realtà, Orlan non sembra essere la sola a ritenere che attraverso il volto possa trasparire la nostra identità. M. Argyle a questo proposito scrive: “La personalità è connessa in particolar modo al viso, e l’aspetto del volto viene manipolato per trasmettere informazioni sulla persona. Nelle società primitive spesso vengono indossate maschere, che nascondono l’identità e lo stato emotivo di chi le porta. Ciò può avere l’effetto di produrre un comportamento disinibito, come nel caso di un ballo mascherato, oppure l’effetto di indurre chi la porta a recitare il ruolo suggerito dalla maschera.”[58] L’artista giustifica il suo progetto di ricostruzione della propria identità attraverso la riplasmazione del proprio volto, affermando che il corpo mente, servendosi delle parole della psicoanalista lacaniana Eugénie Lemoine-Luccioli che, nel testo La robe, scrive: “La pelle inganna (…). Nella vita, si ha solo la propria pelle (…) c’è un errore nelle relazioni umane perché uno non è mai ciò che ha (…). Ho una pelle d’angelo ma sono una iena, ho una pelle di coccodrillo ma sono un cucciolo, una pelle nera ma sono bianco, una pelle da donna ma sono un uomo; non ho mai la pelle di ciò che sono”.
Come dice la stessa Orlan: “Nel momento in cui vorrei diventare un altro, divento me stesso”. “Sono un bulldozer: dominante ed aggressiva…ma se questa mia identità si fissa una volta per tutte, allora è un problema…Per questo mi rinnovo, diventando timida e delicata…”[59].
Il volto di Orlan, da lei stessa riprogettato è emblema di un’identità mobile, plastica, assolutamente flessibile. L’artista francese desidera cambiar pelle, in un continuo camaleontico, conciliare l’identità interiore del momento e quella esteriore. Teresa Macrì, a questo proposito, ha osservato: “(…) la volontà di ricorrere alla chirurgia plastica, nel caso particolare di Orlan, è la volontà politica di colmare l’abisso tra apparenza ed esistenza.”[60] Il progetto di identità di Orlan è estremamente radicale: sperimentare identità diverse si traduce nella modificazione chirurgica della sua fisicità. Corpo, sangue e muscoli sono strumenti, insieme alla tecnica chirurgica, di questa trasformazione identitaria - peraltro non ancora conclusa - finalizzata alla creazione di un archetipo di “corpo in divenire”. Il suo progetto concretizza l’idea di un’identità mutevole e prende le distanze da un’identità astratta che, una volta costituita, diventi certa e permanente. Orlan adotta la strategia chirurgica non per modellare il suo viso, una volta per tutte, secondo canoni estetici definiti, ma ispirata dall’identità del momento, quell’identità nomade, continuamente cangiante, che si crea, si lacera, si trasforma ed evolve continuamente in ognuno di noi.
Orlan, inoltre, respinge l’idea di “genere” (gender) come categoria fissa, laddove dichiara: “Sono un’azione transessuale da donna a donna”[61]. L’artista percepisce se stessa piuttosto come simile a un cyborg – l’essere metaforico ibrido in parte umano e in parte macchina – la cui identità è in perenne divenire.

L’artista si interroga anche sulle conseguenze di un cambiamento in termini razziali, ossia derivanti dalla variazione del colore della pelle. La risposta a questo interrogativo viene fornita dal libro di John Howard Griffins, “Black like me[62], nel quale viene descritta l’esperienza vissuta da un uomo bianco che, a metà degli anni ’50, per ottenere l’accesso alla vita afro-americana, decide di tingere la propria pelle.
Il tema della molteplicità dell’identità femminile è stato trattato, sempre nell’ambito della body-art, anche da Cindy Sherman. Quest’ultima, come Orlan, si è cimentata nella continua mutevolezza dell’essere femminile, giungendo, almeno da un punto di vista intenzionale, a proporre provocazioni simili. Nel 1975 inizia la sua attività artistica di esplorazione del corpo come proiezione di mutazioni identitarie. E’ il suo corpo, camaleonticamente trasformato attraverso il trucco e l’abbigliamento, l’oggetto delle sue riprese fotografiche. Lei stessa, mutante, interpreta ruoli, storie, personaggi diversi. La sua fotografia mostra una moltiplicazione identitaria operata nel quotidiano, ne denuncia l’assoluta “normalità”, poiché ognuno di noi si traveste ogni giorno, cambia, si adatta.
In un secondo periodo creativo, Cindy Sherman sostituisce a se stessa, come oggetto della sua arte, bambole gonfiabili e materiale pornografico, ma il tema della molteplicità dell’identità femminile rimane comunque al centro delle sue performance. 



IL TENTATIVO FEMMINISTA DI RIAPPROPRIAZIONE
CORPOREA DA PARTE DI ORLAN


L’arte di Orlan è anche lotta politica contro gli abusi di una società maschilista.
Attraverso la sua plasmazione identitaria servendosi della chirurgia plastica, Orlan ha infatti contribuito, in modo decisivo, ad una contestazione attiva del concetto di “bello”, imposto dalla contemporaneità occidentale, che sottomette il mondo femminile a modelli di desiderabilità inarrivabili creati dall’immaginario maschile. L’artista francese lascia che sia il suo corpo di donna a parlare per lei, che sia esso a denunciare il disagio femminile, la discriminazione a cui le donne vengono ancora oggi sottoposte. A questo proposito, con il suo progetto “Santa Orlan”, propone il conflitto non superato – origine di una delle tante discriminazioni - nel quale la cultura imbriglia la figura femminile, ossia quello fra la figura della puttana e quello della madonna, due realtà distanti, inconciliabili, per il sociale, ma, evidentemente, non per Orlan.
Ma l’artista si spinge oltre la denuncia, concretizzando, attraverso l’uso “blasfemo” della chirurgia plastica la decostruzione dei modelli estetici maschilisti a cui le donne occidentali, dalla Grecia classica in poi, non riescono a sottrarsi.
Per quanto paradossale, Orlan ricorre alla chirurgia estetica per sovvertirne gli intenti, ossia per demolire il concetto estetico sul quale la stessa chirurgia si fonda.
In una società in cui il ricorso alla chirurgia plastica viene giustificato solo se conforme alle norme etiche (eufenica) o a quelle estetiche imperanti, l’artista sottomette la tecnica chirurgica alla sua personalissima idea di identità “in progress”.
Con il suo gesto estremo e sacrificale, Orlan denuncia l’omologazione del pensiero occidentale, l’ideologia estetica dominata dalla canonizzazione di stereotipi femminili o maschili e impone la ricostruzione facciale come ricostruzione del sé.
Ad un’analisi superficiale, i progetti artistici di Orlan sembrerebbero contraddire questa sua esplicitata volontà di riscatto del femminile, soprattutto in considerazione dell’utilizzo della chirurgia estetica o del suo auto-ritratto ispirato dalle bellezze della classicità.
La chiave di volta è proprio in questa sua totale indipendenza dai canoni estetici imperanti e nell’aver utilizzato le tecniche chirurgiche contro se stesse: la chirurgia estetica non è stata da lei utilizzata per migliorare il suo aspetto fisico, tutt’altro. Il sabotaggio della chirurgia estetica operato da Orlan non sempre è stato compreso, soprattutto dai chirurghi plastici uomini che non riuscivano a concepire la chirurgia estetica se non come “migliorativa”.
Per Orlan, la chirurgia plastica è semplicemente un valido strumento di auto-determinazione attraverso il quale le donne possono assumere una forma di controllo sui loro corpi. La differenza fra Orlan e la maggioranza delle donne che subisce interventi di chirurgia estetica, è solo una questione di sfumature: l’artista è solo un esempio estremo di un fenomeno che scaturisce dagli stessi presupposti: le donne, tramite interventi di chirurgia estetica, vogliono, per così dire, “essere Pigmalioni di se stesse.” Il motivo reale che induce le donne a sottoporsi ad interventi di chirurgia estetica è il disagio con cui vivono il rapporto con il loro corpo, che non sentono corrispondere alla percezione che hanno di se stesse. Intervenire sul corpo con la chirurgia estetica rappresenta per loro una strategia efficace per ridurre questo scarto fra l’interiorità e l’esteriorità, cosicché gli altri possano vederle per come esse vedono se stesse. Le donne che si sottopongono ad interventi di chirurgia estetica, come Orlan, tentano di riplasmare, attraverso un rimodellamento del corpo, anche la loro vita.
La grande differenza fra il ricorso alla chirurgia estetica da parte delle donne e quello operato da Orlan consiste nel fatto che nel progetto di Orlan non si affronta un problema di vita reale, ma d’arte. Orlan non si serve della chirurgia estetica per ridurre le sue sofferenze al suo corpo, ma per potersi esprimere, in modo aperto e diretto, sul concetto di bellezza puramente astratto, sull’identità e sulla capacità di agire giuridicamente. Il suo corpo è poco più di un “veicolo” per la sua arte e i suoi sentimenti personali sono, in questa interdipendenza, assolutamente irrilevanti. Quando le si chiede del dolore che deve aver provato, si limita ad alzare le spalle e dice: ”L’arte è un lavoro sporco, ma qualcuno deve pur farlo.”[63] Orlan si sente animata da una missione: rompere con le convenzioni e, così facendo, provocare la gente, mettere in discussione i tabù. “L’arte può e deve cambiare il mondo, perché questa è la sua unica giustificazione”[64].
Il viso progettato da Orlan e realizzato dalle tecniche chirurgiche non è il viso ridisegnato dalle logiche capitalistiche, che ripropongono canoni stereotipati per sollecitare una domanda di mercato.
Orlan si sottrae a questa logica dominante formulando altre pratiche e altre sembianze, contrapposte alle formulazioni imposte e correnti. Rispetto ad esse, il corpo nuovo, mutante, che Orlan formula è un corpo antitetico, antibello, del tutto anomalo.
Dopo aver trasformato il suo volto mixando le bellezze classiche, Orlan progetta un intervento, svoltosi a New York, che avrebbe dovuto rialzarle gli zigomi. In realtà, l’intervento porterà all’innesto delle due protesi, inizialmente destinate agli zigomi, sui lati opposti della fronte. Le due protuberanze frontali annullano ogni tensione a riprodurre gli stereotipi di bellezza ufficiali ed appaiono piuttosto come “corna nascenti”[65]. Deestetizzanti, risvegliano profonde inquietudini, trasformano Orlan in una creatura ibrida, quasi mitologica. In Orlan, donna-satiro, la femminilità si sposa all’animalità in un incontro destabilizzante.
Tra i suoi progetti futuri, c’è quello di sottoporsi ad intervento chirurgico per ottenere un naso enorme, “il più grande naso fisicamente possibile”, che inizi al centro della fronte. In questo modo, il volto di Orlan si allontana radicalmente dall’ideale maschilista di perfezione femminile. Il suo “ideale” è invece assolutamente anticonformista. Orlan, si sforza di ricordarci che non dobbiamo far altro che liberare la nostra capacità immaginativa per poter finalmente diventare le persone che vorremmo essere.


LA CONTESTAZIONE SOCIALE ATTUATA DAL CYBERPUNK
ATTAVERSO IL CORPO


Nell’Inghilterra degli anni ’70, nell’ambito del movimento punk, movimento di contestazione sociale, che si esprime liberando le pulsioni aggressive in ogni loro forma, apertamente violenta o semplicemente provocatoria e trasgressiva, trovano espressione le performance attuate dai promotori del cyberpunk. Le performance dei Coum Transmission, esternano visivamente, oltraggiando il corpo, sottoponendolo a vere e proprie sevizie, i fondamenti della cultura punk, nel tentativo di risvegliare una coscienza critica nello spettatore.
Sono i perversi meccanismi sociali, quegli stessi meccanismi produttori di tendenze omologative dell’individuo alla massa e di quelle soppressive della creatività del singolo, che vengono rabbiosamente, violentemente e dolorosamente rifiutati. La cultura punk, dunque, si propone come volontà di riconquista delle libertà personali di scelta, di espressione del proprio modo di essere o non essere.
Anche in questo caso, la contestazione sociale passa attraverso il corpo, il dolore fisico manifesto, l’uso di materiali e flussi organici e azioni autolesionistiche. 
Il corpo ideale, secondo l’aspirazione della cultura cyberpunk, è materia estensibile che, inglobando le tecnologie, amplifica le proprie potenzialità.
La macchina viene, in questo senso, recuperata come estensione umana, combinata all’azione ed al pensiero umano per produrre musica, suoni, eventi.
Il movimento conosciuto come “cyberpunk”, è rappresentato da gruppi performatici itineranti, fra cui emergono gli SRL (Survival Research Laboratories), i Mutoid Waste Company, La Fura Dels Baus.
Si tratta di gruppi di giovani performer che scelgono di vivere in “case viaggianti”, non come viaggiatori, quanto, piuttosto, come viandanti. La differenza sta nel fatto che il loro interesse non sta tanto nel visitare nuovi luoghi, quanto nel fare esperienza di ogni cosa. Non ci sono regole, non ci sono limitazioni. L’esistenza diventa un corso di sopravvivenza continuo, dove si impara a vivere con il minimo indispensabile, a non gettare nulla e soprattutto a riciclare continuamente, gli oggetti e se stessi. Mutanti in una realtà mutante. L’arte non ha bisogno che di benzina (per viaggiare), di grande creatività, emozioni, capacità comunicativa e resti. Resti di auto, resti di animali, resti di qualunque cosa vengono combinati in forme nuove, rivitalizzati, svuotati dei vecchi significati funzionali ed investiti di nuovi contenuti simbolici.
La maggior parte di coloro che operano in questi gruppi provengono dalla scena punk o dal teatro di strada, convinti che l’umanità sia ormai impotente rispetto agli sviluppi futuri della realtà e che l’unica possibilità sia quella di esorcizzare la paura del futuro semplicemente vivendo, divertendosi e producendo divertimento. Avendo ormai perso il controllo della situazione, ci aspettano distruzioni, catastrofi ecologiche, guerre. Non rimane che utilizzare il tempo che ancora rimane per divertirci.


[56] Orlan, citato in Davis K. e altri, op. cit., p.252.
[57] Orlan, citato in Davis K. e altri, op. cit., p.252.
[58] Argyle M., Il corpo e il suo linguaggio…op. cit., p.250.
[59] Orlan, citato in Davis K.. e altri,op. cit.,  p.253.
[60] Macrì T., op. cit., pp.54-55.
[61] Orlan, citato in Davis K. e altri, op. cit., p.254.
[62] Griffin J.H., Black like me., Signet, New York, 1961.
[63] Orlan, citato in Davis K. e altri, op. cit., p.256.
[64] Orlan, citato in Davis K. e altri, op. cit., p.256.
[65] Macrì T., op. cit., p.68.