1.4 TATUAGGI E PIERCING IN SOCIETA’ PRELETTERATE


Piercing
e tatuaggi sono strumenti di una comunicazione silenziosa, ma efficace. Essi rimandano a chi li osserva dall’esterno una precisa percezione dell’immagine che l’altro vuole presentare di sé. Cosicché, lo stesso corpo, con o senza un piccolissimo tatuaggio, per esempio, viene percepito in modi molto diversi. Persino la percezione del sé viene notevolmente influenzata dall’esistenza di un tatuaggio o di un piercing o di una scarificazione sul proprio corpo, perché essi rappresentano, nel nostro immaginario, quello che crediamo di essere o ciò che vorremmo essere.
Tatuaggi e piercing risalgono certamente ad epoche preistoriche, perché rispondono al bisogno primario di affermazione del sé, di uscita dall’anonimato di un corpo indistinto, trasformandolo in corpo socialmente e culturalmente determinato, ma anche personalizzato da elementi decorativi la cui esclusività lo rende unico e riconoscibile.
L’opera di cristianizzazione dei missionari, e più in generale l’atteggiamento di chiusura occidentale ad altri modi di fare umanità che, considerandoli costumi “incivili”, ha contribuito ad innescare un processo di lento ma inesorabile declino.
Il tatuaggio maori, costituisce un eccellente esempio di tatuaggio con funzione identificativa. Presso i Maori, il tatuaggio facciale, detto moko, oltre ad avere un effetto ornamentale, conferiva fierezza al volto e svelava aspetti rilevanti della identità a cui esso apparteneva. “Un uomo con il volto non tatuato veniva chiamato papatea o «faccia liscia», che è come dire un tatua: un «povero nessuno».”[43] Il moko nelle donne prevedeva che solo le labbra ed il mento fossero tatuati. Labbra carnose e blu venivano considerate caratteristiche ideali della bellezza muliebre. La società maori era suddivisa in sei classi sociali e ad ogni livello corrispondeva un tatuaggio distintivo. L’innalzamento di rango poteva essere concesso, temporaneamente o permanentemente, ma anche questo doveva essere indicato nel tatuaggio. Il moko descriveva, oltrechè l’appartenenza sociale, anche l’occupazione svolta. Esso può essere letto dividendo il volto a metà tramite una verticale immaginaria: sulla metà sinistra (Taha Maui) viene descritta l’ascendenza paterna, sulla destra (Taha Matua) quella materna. I segni che decorano le due metà sono di solito (ma non sempre) simmetrici. La parte centrale della fronte è tatuata solo tra gli appartenenti all’alta nobiltà o tra coloro che ottengono una promozione per meriti speciali. La zona al di sopra delle sopracciglia, è solitamente decorata da raggi che rappresentano la posizione sociale. Questa è proporzionale all’altezza ed alla frequenza dei raggi e dei disegni fra un raggio e l’altro. Le spirali sulla punta del naso caratterizzano le persone di conoscenza, gli esperti, mentre una spirale doppia sul mento caratterizza il maestro d’armi. Nella zona ai lati del naso è indicata la tribù di appartenenza. Una spirale tatuata sulla parte alta delle guance indica la primogenitura. Informazioni relative alla discendenza, materna o paterna, sono situate nella zona degli zigomi, mentre ai lati della bocca trovano spazio i segni identificativi del soggetto, quasi fossero un segno autografo. Sulla parte centrale della guancia viene segnalato il mestiere, mentre il rango è riportato ai lati del mento. I diritti ereditari, infine, sono iscritti nella zona mandibolare e, nel caso di protezioni speciali, garantite da parte di un capo tribù o di un re, queste vengono segnalate da appositi tracciati nella zona ai lati delle labbra.
Nelle società preletterate, più che in quelle occidentali, il tatuaggio o il piercing vengono associati ai rituali di iniziazione che strappando l’individuo alla condizione infantile lo immettono nel mondo adulto. Anche in Occidente, del resto, si sta imponendo con sempre maggior frequenza l’abitudine di celebrare il raggiungimento della maggior età con un piercing o un tatuaggio.
Nelle società preletterate, la condizione di indistinzione, sessuale e sociale, che caratterizza l’infanzia vengono ammesse sino al momento in cui la natura e la società impongono dei ruoli, sino a quando, cioè, fra l’individuo, la natura e gli altri membri della società a cui appartiene, che convivono in strettissimo contatto, non si impone la necessità di ristabilire dei confini.
Laddove fra la madre ed il bambino si instaura una relazione viscerale, per la formazione dell’individuo e per la sua integrazione sociale è assolutamente necessario che questa esclusività del rapporto madre-figlio venga interrotta. Al bambino si permette di giocare senza limiti, di rapportarsi alla madre in un rapporto simbiotico, in virtù del quale per il bambino il corpo della madre rappresenta una sorta di un prolungamento del suo stesso corpo. Questa simbiosi fra la madre ed il bambino è talmente totalizzante da non permettere uno scambio osmotico con il resto della comunità.
Il rito demiurgicamente risponde all’esigenza di porre fine al caos dell’infanzia,  di rifiutare l’indeterminatezza biologica, quella mistione di opposte possibilità di essere, che, se pacificamente accettate nel bambino, non possono tuttavia, per il bene della continuità sociale, convivere nell’adulto.
La cultura produce “tagli”, “incisioni”, “segni” rituali che eliminano la condizione precedente e aiutano ad acquisire coscienza del sé,  o meglio delle aspettative sociali di cui il singolo viene investito.
Il tatuaggio, le scarificazioni, le perforazioni e le mutilazioni della carne altro non sono che la concretizzazione del concetto di estirpazione dell’indeterminatezza originaria.
La pelle, il corpo vengono culturalmente riscritti e trasformati anche dall’agire umano e non più soltanto dall’azione dei processi naturali.
Il corpo dell’iniziato viene umanizzato, ossia culturalizzato (a vivo), e personalizzato dall’intervento umano che lo segna o lo incide, intervento che, tagliando, riplasma.
Queste pratiche corporee, agiscono sul piano simbolico ma si traducono su quello reale, producendo una effettiva assimilazione del proprio ruolo sociale, della propria appartenenza al gruppo e al genere, ben più profonda delle incisioni epidermiche. Sempre sul piano simbolico, la pratica di modificazione corporea riproduce un rinnovamento identitario, oltre a segnalare, a se stessi e al gruppo, l’avvenuta integrazione dell’individuo nella società.
Il rito iniziatico potrebbe essere assimilato ad una seconda (simbolica) recisione del cordone ombelicale, attraverso la quale si produce e celebra la morte (anch’essa simbolica) dell’infanzia e l’introduzione nel mondo adulto, intesa come rinascita sotto il segno di una nuova identità.
La metamorfosi identitaria prodotta attraverso il rito iniziatico non può che essere traumatizzante, dolorosa, sia sul piano della fisicità che su quello della coscienza. Essa, coinvolgendo più piani contemporaneamente, non può essere dimenticata, cosicché deve rimane indelebilmente iscritta sul corpo. Il dolore di crescere è dolore universale, che lacera nel profondo e trasforma. L’immagine della crisalide sintetizza in modo molto efficace questa mutazione.
L’acquisizione di una nuova identità viene sancita dal rito, anche attraverso l’imposizione di un nuovo nome. Il tatuaggio, e più in generale gli interventi di “scrittura corporea” presso le società preletterate, svolgono, pertanto, più che una semplice funzione decorativa, funzioni di introduzione e compimento all’interno di percorsi acculturativi. Laddove la pittura corporea, per il suo carattere provvisorio, viene realizzata in contesti di trasgressione rituale, per richiamare l’attenzione sui divieti culturali e risvegliare la coscienza dell’impuro, tatuaggi, scarificazioni e tutte le pratiche di modificazione corporea permanenti costituiscono il momento di iscrizione simbolica sul corpo del sociale e  del culturale. La funzione delle modificazioni corporee permanenti è prettamente iniziatica, in quanto sottrae l’individuo alla condizione di indeterminatezza con cui si nasce, imprimendo sul suo corpo il simbolo personalizzante dell’abbandono definitivo della condizione infantile,  di una trasformazione profonda, dolorosa ma altrettanto necessaria, della propria identità, ossia dell’avvenuta maturazione dell’individuo ormai adulto. Queste pratiche di “scrittura corporea” possono essere non a torto definite “pratiche di coniazione socio-culturale”[44], perché appunto imprimono, irrevocabilmente, il segno dell’avvenuta umanizzazione.
Il tatuaggio viene praticato, nelle società tradizionali, non solo all’interno di riti iniziatici, e dunque anche con finalità molto diverse: può essere segno di devozione religiosa, segno di appartenenza ad un gruppo, indicativo dello status sociale, celebrativo di imprese eroiche, segno espressivo della propria personalità, delle proprie vocazioni o ancora espressione visiva di ciò che non si può dimenticare.



[43] Fercioni Gnecchi L., Tatuaggi. La scrittura del corpo”., Milano, Mursia, 1994, p.57.
[44] Bonito Oliva A. et al., L’asino e la zebra. Origini e tendenze del tatuaggio contemporaneo., Roma, De Luca, 1985, p.17.