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“Il corpo è come una frase che può essere spezzata in parti indipendenti,
in modo tale che il suo vero contenuto possa essere rimesso insieme in
una serie infinita di anagrammi.” (Jacques Lacan)
Così come gli animali,
anche gli uomini avvertono la necessità di “segnalare la propria identità
agli altri, cioè di riuscire a comunicare sufficienti informazioni su
se stessi (…). Tali messaggi consistono di informazioni simboliche che
indicano a quale delle svariate categorie di persone
si appartiene. (…) la presentazione del sé spesso comporta una pianificazione
relativamente attenta ed una certa quantità di inganno.” La manipolazione, più
o meno inconscia, dei segnali corporei indica la percezione del sé o l’immagine
ideale di se stessi che agli altri si vuol offrire. A tale proposito,
Erving Goffman parla di body gloss
(glossario del corpo).
Assumendo un preciso comportamento o presentando se stessi attraverso
una certa immagine, ciascuno si presenta agli altri secondo il modello
identitario prescelto.
I segnali comunicativi non-verbali sono dunque, molto spesso, un ulteriore
strumento di chiarificazione delle azioni comportamentali, onde evitare
eventuali fraintendimenti.
L’immagine di sé che si propone agli altri è, dunque,
espressione visiva della percezione del sé.
In particolare, l’intervento sul viso incide notevolmente sulla percezione
della propria personalità: un nuovo make-up, un piercing,
un taglio o un motivo tatuato, riescono a trasformare sostanzialmente
la percezione di uno stesso volto.
La tensione alla creazione di un look personalizzato/personalizzante,
ossia che corrisponda al proprio modo di essere così come viene percepito
dal soggetto stesso, è centrale soprattutto nel periodo adolescenziale,
periodo in cui si verificano mutazioni corporee difficilmente gestibili,
che tendono ad imporre una nuova percezione della propria identità. In
questa fase conflittuale, in cui l’io si confronta con le trasformazioni
corporee spontanee - non sempre in linea con la percezione del sé - si
è particolarmente sensibili all’osservazione altrui e dunque anche più
concentrati in un’azione di manipolazione dei segnali non-verbali che
definiscano l’immagine di sé che si ritiene auto-identificativa. “Se il
corpo è linguaggio, allora il linguaggio può diventare corpo: tra corpo
e linguaggio si stabilisce un rapporto di concorrenza, per cui là dove
parlano i corpi - nella pantomima - il linguaggio tace e viceversa dove
parla il linguaggio, devono tacere i corpi.” La
comunicazione non-verbale viene preferita a quella verbale nel tentativo
di esprimere esperienze emozionali soggettive, poiché più adatta ed efficace
nella descrizione di mondi interiori. In contesti rituali, la comunicazione
non-verbale si sostituisce alla comunicazione verbale: il linguaggio,
infatti, efficace nella descrizione degli eventi che riguardano il mondo
esterno, perde efficacia espressiva sul piano della manifestazione delle
esperienze emozionali soggettive.
L’uso di segnali non-verbali che rientrano nella sfera delle decorazioni/modificazioni
corporee, temporanee e permanenti, corrisponde ad una presentazione del
sé intenzionale, mediante la quale si tenta di definire la propria identità
e comunicarla agli altri. Tatuaggi, piercing, scarificazioni e
modificazioni, più o meno estreme, del proprio corpo assumono una valenza
distintiva, tramite la quale l’identità, così come viene realmente percepita
o semplicemente anelata, viene imposta a se stessi e agli altri. L’immagine
visiva di sé risente notevolmente dei modelli estetici che ciascuno elabora,
modelli che oltretutto vengono continuamente aggiornati e modificati.
Nella presentazione del sé attraverso il proprio aspetto esteriore, gioca
un ruolo fondamentale l’aspirazione, praticamente universale, ad essere
considerati in qualche modo unici ed essere così distinguibili. La marcata
originalità di un aspetto esteriore esprime una sorta di anticonformismo
o di rifiuto di un dato ruolo sociale. La ribellione verso le formalità
socialmente costituite è spesso all’origine di una riplasmazione del proprio
corpo secondo modelli estetici del tutto personalizzati, indipendenti
e ostili a quelli dominanti. L’immagine del corpo che l’individuo presenta
nel sociale ne condiziona notevolmente non solo la sua percezione da parte
degli altri, ma anche il suo modo di relazionarsi ad essi. Attraverso
l’aspetto fisico possono essere segnalati agli altri “la disponibilità
sessuale, l’aggressività, gli atteggiamenti ribelli e la formalità nel
comportamento.” Una certa aggressività
nell’aspetto esteriore non corrisponde sempre ad una personalità altrettanto
aggressiva, ma vuol spesso essere una sorta di difesa verso l’esterno,
quasi un tentativo di proteggersi tramite un aspetto che intimidisce.
E’ del resto, questo, un atteggiamento molto comune nel mondo animale,
dove vengono esibiti colori violenti, posture ed atteggiamenti intimidatori
per intimorire il possibile avversario. Secondo lo schema proposto da
Michael Argyle, nella ricerca di un aspetto
esteriore non in linea con i canoni estetici dominanti si potrebbero nascondere:
1. l’espressione simbolica di una
mancanza di controllo;
2. il rifiuto delle norme convenzionali;
0
3. un rifiuto ascetico dei valori
piccolo-borghesi del
successo materiale
e della sua ostentazione;
4. la comunicazione di un atteggiamento
aggressivo.
Fondamentalmente, si possono distinguere società in cui l’originalità
del proprio aspetto esteriore viene accettata, ma solo se i limiti socialmente
stabiliti non vengano superati – è il caso delle società occidentali –
e società in cui invece si tende a stimolare negli individui un livello
di originalità sempre crescente. Nel primo caso, l’originalità “estrema”
viene tradotta in eccentricità, confinata in spazi e tempi in qualche
modo ritualizzati, in cui viene controllata e dunque addomesticata: il
carnevale, il mondo della moda, quello televisivo, musicale o, più in
generale, scenico, sono i luoghi di espressione controllata dell’eccentricità.
Nel quotidiano occidentale, l’aspetto esteriore deve uniformarsi il più
possibile a quelli che sono i parametri estetici socialmente accettati:
un corpo tatuato, scolpito o inciso, nel quotidiano non deve essere disinvoltamente
esposto se non si vuole che ciò venga interpretato come atteggiamento
provocatorio e quindi essere, per questo, penalizzato. E’ pur vero, però,
che le convenzioni sull’aspetto esteriore sono soggette a continua trasformazione
e che alcune modificazioni corporee un tempo piuttosto rare in Occidente
(il tatuaggio o il piercing ne sono un esempio) solo raramente,
se non accompagnate da altri dettagli personali, vengono oggi interpretate
come segni di devianza sociale.
Il corpo umano viene considerato, da antropologi quali Mauss e Mary Douglas,
“espressione del controllo sociale”, controllo che limita il raggio d’azione
del corpo inteso come strumento espressivo. Mary Douglas a tal proposito
ha scritto: “(…) il corpo umano è sempre sentito come un’immagine della
società, e (…) non esistono modi «naturali» di considerare il corpo che
prescindano dalla dimensione sociale. Ci si interessa ai suoi orifizi
quando si è preoccupati delle entrate e delle uscite sociali, delle
vie di fuga e delle invasioni; se si è indifferenti alla conservazione
delle demarcazioni sociali, si tende all’indifferenza anche nei riguardi
delle superfici del corpo. Le relazioni fra testa e piedi, fra cervello
ed organi sessuali, fra bocca ed ano, vengono generalmente trattate
in modo da rispecchiare gli schemi gerarchici che hanno rilevanza.” A partire da questa osservazione,
l’antropologa giunge a ritenere che “(…) il rilassamento del controllo
corporeo nel rituale risponda alle esigenze di un’esperienza sociale,
che in tal modo esprime se stessa.
(…) Infine, la stessa spinta che tende ad istituire
una armoniosa corrispondenza fra l’ordine fisico e quello sociale deve
influire sull’ideologia. Perciò, una volta rintracciata la corrispondenza
fra controlli corporei e sociali, sarà stata posta la base per considerare
gli atteggiamenti corrispondenti nel pensiero politico e teologico.”
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